Non sono stata io a scegliere il mio mestiere - è stato il mio mestiere a scegliere me, capitandomi fra capo e collo quando meno me l'aspettavo. Quando volevo fare altro. Così, da un giorno all'altro. «Una supplenza la prossima settimana». Oh cielo. E' in questo modo che si comincia.
Senza voce, con la gola che brucia. I libri dimenticati. Lavorare, ma solo a fasi alterne. Le annate buone e le annate cattive. Amare e odiare, perché non è poi così facile riuscire a non portare rancore, a trasmettere ottimismo, autostima, coraggio, conoscenza (almeno un po'), onestà, qualche bella parola. Ricordarsi di non essere lunatica (non ci riesco). Saper ascoltare se si vuole essere ascoltati (anche questo mica è facile). Lottare contro la burocrazia. Guerreggiare per avere le fotocopie, i libri, i materiali che servono. A volte anche la carta igienica. Arrabbiarsi col ministro, col governo, con le riforme - perché nessuno sa e nessuno capisce cosa vuol dire armarsi di pazienza e di un pizzico d'amore alle 07:58 ogni mattina, indipendentemente da quello che ti è successo a casa, dalla tua vita che magari va a rotoli. Perdere le penne in continuazione e scroccare il bianchetto all'alunno impeccabile del primo banco - perché ti dimentichi (sempre) di comperarlo.
Rincorrere i giorni, fare acrobazie sul calendario. Scrivere e dare i numeri. I voti come caramelle. Non è mica questo ciò che importa, alla fine di tutto.
Le chiacchiere coi colleghi, discutere (troppo spesso) dell'andamento di quella classe così rumorosa e turbolenta. La pausa caffè (troppo breve). L'intonaco che si stacca dal soffitto. I muri delle aule scarabocchiati. I fogli che si perdono. I compiti in classe che pesano nella borsa. Ancora la burocrazia - che fa smarrire il tempo e l'anima.
I tagli al riscaldamento, le polemiche sull'orario.
E poi c'è altro. C'è sempre molto altro... Non si può descrivere così... In poche parole e senza la giusta dose d'affanno.
Nessun commento:
Posta un commento