Le donne italiane del ventunesimo secolo sono confuse, è inutile negarlo. Non sanno essere "consapevoli-e-basta" - ma continuano a fare i conti con quei sensi di colpa e quelle esitazioni che sono un retaggio pesantissimo del bigotto-cattolicesimo made in Italy.
Ricordo con un misto di affetto e malinconia il giorno in cui una cara amica (devotissima al padre padrone, valido sostituto di un marito stabile a cui dedicare vita e corpo) mi confidò di non riuscire in nessun modo a prendersi cura di se stessa. L'argomento era frivolo (tipicamente femminile, direbbe qualcuno): si parlava di acconciature - o forse di creme per il corpo. E lei venne fuori con una frase solo apparentemente insignificante: «Ah no! Io per me non faccio nulla... a che scopo prendermi cura di me stessa?».
Sono sicura che qualche lettrice, a questa risposta, sentirà crescere una punta d'orgoglio: ma certo! Per quale motivo noi donne dovremmo perdere tempo con certe scempiaggini? La vita è nostra, riprendiamocela!
E invece no, care mie. Quella della mia amica era tutt'altro che una vita libera ed entusiasmante. Era, al contrario, un'esistenza di eterna figlia, di donna a metà, quotidianamente votata al sacrificio in favore degli altri: del padre (in primis), ma anche della madre, del compagno, delle stesse amiche...
Eredi come siamo dell'intransigente morale cattolica, siamo portati a considerare con favore lo spirito di abnegazione portato all'estremo. "Che brava ragazza", dicevano tutti di lei - genitori, professori, datori di lavoro. Più semplicemente, era una ragazza debole.
Se fosse stata un uomo, le stesse persone che avevano tessuto le lodi della mia amica avrebbero senz'altro esortato il giovanotto a "farsi una vita", ad abbandonare il nido per spiccare il volo una volta per tutte. Ma da una donna... si sa... non ci si aspetta forse che si sacrifichi per la felicità del prossimo? Non dovrebbe bastarle questo, per sentirsi appagata?
In realtà, essere Maria non è poi così divertente.
Negli States, il settimanale "Time" ha di recente lanciato una provocazione, dedicando la propria copertina alle coppie che scelgono di non avere figli e che, nonostante questo, sono libere e soddisfatte. L'immagine mostra un uomo e una donna sorridenti, sicuramente meno stressati di molti genitori coatti: «Quando avere tutto significa non avere figli», recita il sottotitolo.
Lauren Sandler afferma infatti che le donne non dovrebbero sentirsi realizzate solo in virtù della funzione riproduttiva dei loro corpi.
La copertina di "Time" |
Alcune amiche (che, come me, hanno superato i trent'anni e sono ancora senza figli) mi raccontano di battute sarcastiche sulla loro scelta di non procreare: «Se oso rispondere: "Perché dovrei avere bambini?", la risposta è quasi sempre: "Perché sì". Oppure: "Perché senza figli una donna non è una vera donna"» riferisce Luisa sulla mia bacheca di Facebook. Come lei, ce ne sono molte altre.
Medea, d'altronde, fa paura. Non serve a nulla che Christa Wolf abbia tentato di rassicurarci sulla genesi patriarcale e maschilista del mito: c'è sempre qualcosa di sospetto in una donna che decide di non avere figli - potrebbe essere una potenziale matricida, oppure una puttana. Il passaggio è breve.
Un uomo può distinguersi dalla massa... ma una donna! Se esce dal gregge deve essere punita - e spesso questo avviene nel modo più crudele, come ci narrano i recenti fatti di cronaca.
Destano sospetti anche le donne troppo curate - quando si percepisce (e la percezione... oh, quanto è forte!) che non lo fanno per una forma di schiavitù mentale (per piacere al maschio), ma perché amano se stesse con consapevolezza e autodeterminazione. Non a caso alcune preferiscono ostentare una certa (rassicurante) "sciatteria-da-donne-impegnate" - sebbene continui a sfuggirmi il nesso tra una presunta superiorità morale e l'orrore della trasandatezza.
Interrogando (ancora una volta) i miei contatti di Facebook sull'argomento, ho letto e annotato l'opinione di C.: «Deve possedere davvero poche risorse interiori, chi si illude di affermare la propria indipendenza semplicemente trascurando se stesso». Come darle torto?
In un certo qual senso... anche nel caso della "sciatteria intellettuale" siamo ferme (granitiche, nella nostra immobilità) all'affermazione femminile in base a criteri estetici e superficiali: perfino negandoli, conferiamo loro una visibilità adamantina. Così, tanto le donne che si truccano per essere viste e toccate, quanto le occhialute e ciabattone "alternative", scelgono di appartenere ad un determinato canone estetico - e lo fanno in virtù del giudizio altrui.
Bombardate come siamo da stimoli negativi e pregiudizi striscianti (i misogini sono molto più numerosi di quanto crediamo), dobbiamo ammettere che non è facile uscire da questa impasse.
Tutto ciò che possiamo (e dobbiamo!) fare è mantenerci vigili, essere attente ascoltatrici di noi stesse e della realtà che ci circonda - che tanti danni ha prodotto sulla stessa percezione del nostro essere femminile.
Dobbiamo smettere di essere carine e accomodanti per evitare fastidi o discussioni interminabili e affermare con forza ciò che davvero vogliamo, ciò che davvero non sopportiamo.
6 commenti:
Intanto complimenti per l'articolo davvero eccellente - da capo a coda, con una picco a mio parere nella parte sulla sciatteria intelettuale.
Però mi chiedo una cosa. Ci tengo a precisare che la riflessione non mi è scaturita solo dal suo articolo, me la chiedo da un po', e se avessi l'opportunità di scrivere a chi ha curato l'articolo del Times porrei le stesse domande. Scrivo qui, perchè in base a questo articolo penso di star interfacciandomi con una persona intelligente, e vorrei il suo parere in merito. Perchè, ogni qual volta si affronta questo argomento così importante, qualsiasi siano le personalità che lo affrontano e la sede dove si discute...dicevo, perchè vengono prese sempre e solo in considerazione i due estremi, le "Maria" e le "Medea"? Perchè deve sembrare che il mondo sia diviso tra donne emancipate e indipendenti che QUINDI non vogliono la "catena" della maternità, e donne che invece questa "catena" la accettano, ma solo perchè, smidollate e succubi, ricoprono passivamente un ruolo imposto dalla società? Non sembra un po' una cosa simile al discorso della "sciatteria intellettuale", questa? "Sono una donna indipendente, dunque per farlo sapere al mondo vado in giro conciata come Baba Yaga, perchè se no gli altri penseranno che sono una donna-oggetto succube dell'estetica maschilista" - "sono una donna indipendente, quindi rifiuto la maternità a prescindere, perchè altrimenti gli altri penseranno che sono una cretina sottomessa".
A me invece piacerebbe sentir discorrere ogni tanto (a favore o a sfavore che sia, insomma, semplicemente inserendole nella discussione, attestandone l'esistenza) di quelle donne che vogliono essere libere, che si amano, che si curano, che hanno un'istruzione, che hanno, o pretendono giustamente di arrivare ad avere un lavoro congruente col loro grado di istruzione e abilità, che hanno interessi ed ambizioni esterne al nucleo familiare...e che al contempo vogliono anche dei figli, non perchè lo imponga la società o qualche stupida dottrina, ma perchè (magari) pensano che la maternità sia "l'arma in più" delle donne (possiamo fare tutto quello che fanno i maschietti...e una cosa in più), perchè pensano che una donna acculturata ed emancipata che mette al mondo un figlio/a, e che ritaglia il tempo di prendersene cura personalmente equivale a una donna che crescerà un'altra creatura acculturata ed emancipata come lei,e che quindi contribuirà a rendere il mondo un posto migliore (non sembra una prospettiva tanto schifosa e di poco conto, che dite?) ...o perchè semplicemente vogliono un figlio, così come vogliono affermarsi professionalmente e socialmente.
Concludo questo intervento con una metafora mutuata dal mondo degli animali sportivi: io non voglio essere una fattrice parcheggiata lì a sfornare redi e basta, ma non voglio nemmeno essere una femmina da corsa, isterectomizzata per non avere istinto materno, essere resa più aggressiva e produrre di più. Io voglio essere una donna con un corpo e con una mente, LIBERA di usare entrambi nella maniera che ritengo più opportuna, senza ricadere in stupidi pregiudizi ("non ha figli, è una strega malvagia, non è una vera donna" pessimo al pari di "ha scelto di crescersi i figli, deve avere la personalità di un mollusco e un cervello di gallina") in un caso E nell'altro. Io non voglio essere "Maria" e non voglio essere "Medea". Ecco, mi piacerebbe molto di più essere "Ndirenn", principessa protagonista di una fiaba senegalese, che da sola, e incinta, salva per tre volte il suo regno sgominando un esercito di predoni sanguinari, e torna a casa in tempo per partorire l’erede.
Cara Elena, innanzi tutto grazie per il commento (gradito e intelligente) e per la splendida immagine finale di Ndirenn.
Ad essere sincera, mi sono resa conto mentre scrivevo che il post presentava qualche lacuna dal punto di vista concettuale: per ragioni di limiti e di spazio, non sono riuscita a fare un ragionamento a tutto tondo e ho preferito concentrarmi sulla negatività (e sulla drammatica attualità) di certe posizioni retrograde e maschiliste.
Per quanto riguarda la questione maternità, la penso esattamente come lei. Sono un'insegnante e, per quanto abbia sotto gli occhi tutti i giorni le problematiche relative a quei figli messi al mondo perché "così fan tutti", tuttavia non me la sento di generalizzare. Credo infatti che la bellezza del corpo femminile concepito quale corpo fecondo, prolifico, sia indicibile, perfetta, ancestrale. Proprio per questo, forse, sminuire tutto a una pratica abitudinaria è triste - oltre che doloroso per i figli stessi.
La maternità E' meravigliosa - a patto (sempre) che sia una scelta libera e consapevole perché, in caso contrario (ed è ciò su cui ho tentato di soffermarmi sull'articolo), corre il rischio di diventare essa stessa strumento di sottomissione e di generare sofferenza dopo sofferenza - in una tragica spirale di frustrazione e di insicurezza psicologica (dalle madri ai figli e così via).
Credo che solo la REALE consapevolezza femminile possa dare vita a figli e figlie che potranno, domani, essere adulti positivi, equilibrati, assertivi.
E' questa la discriminante fondamentale - e le do ragione sul fatto che, oltre che sui rischi, bisognerebbe soffermarsi di più sugli aspetti positivi di determinate scelte femminili.
Spero di rileggerla presto su queste pagine: gli spunti da lei fornitimi sono preziosi (e di grande attualità!) e credo che li utilizzerò per future riflessioni.
Un caro saluto.
Cara Eloisa,
grazie mille per questa risposta, gentile ed argutissima. Mi fa piacere aver trovato qualcuno con cui interfacciarmi su questa tematica (da ventitreenne, è quasi impossibile affrontare il tema della femminilità e delle sue evoluzioni nella società moderna con le mie coetanee... che per la maggiore, appena sentono la parola "maternità", qualsiasi sia il contesto, scappano strillando) e sono davvero felice che le mie parole possano servire come spunto per ampliare la discussione. Continuerò sicuramente a seguire il suo blog con interesse e partecipazione.
Alla prossima :)
Devo dire che leggervi insieme, per me che vi conosco entrambe da anni ed entrambe vi stimo per intelligenza e dialettica... be' è straordinario!
Cristina
The Style Avenger
Grazie, cara! :)
bè è ovvio che una donna emancipata può anche decidere di essere madre, può decidere di no..può pensare che non avrebbe mai voluto figli e poi cambiare idea magari in seguito a una gravidanza non programmata oppure non cambiarla affatto (e ci sono anche casi di chi vorrebbe e per svariati motivi non può).
Quanto al curarsi esteticamente sono d'accordo..tra l'altro sono dell'idea che tutti/e chi più chi meno badiamo al nostro aspetto estetico per noi stessi e per il prossimo e non c'è nulla di male
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