mercoledì 5 marzo 2014

Realtà al femminile: Urvashi Butalia

I need feminism because...
Non mi piace essere catastrofica, ma - care donne - la situazione non è rosea: non bastavano le invettive del popolo grillino contro la Boldrini, scatenate dal grido del comico genovese: "Ma cosa fareste, voi, se vi trovaste la Boldrini in macchina?"; né era sufficiente il "femminicidio economico" di cui parlano le statistiche Istat, in base alle quali una donna (relativamente alla sua capacità di produrre reddito) varrebbe la metà di un uomo. Ora ci tocca pure assistere al sessismo di quelli de Le Iene (che, fra l'altro, non sono nuovi a questo genere di rappresaglie, come già avevo scritto qui e qui), impegnati, la settimana scorsa, a scatenare gli ormoni irrequieti di Enrico Lucci contro la neo-ministra Maria Elena Boschi: ce lo ha raccontato Marina Terragni sul suo blog Maschile/Femminile e subito è infuriato il dibattito.
Insomma, dicevo, lungi da me voler apparire melodrammatica... ma questo venticello leggero un po' misogino, un po' destrorso... a volte mi preoccupa.
Per questo voglio collezionare esempi preziosi, parole rincuoranti ed esperienze coraggiose.
Come quella di Urvashi Butalia (nata in India nel 1952), scrittrice, attivista all'interno del movimento femminista indiano e fondatrice della casa editrice Zubaan.

L'esperienza di Zubaan
Nata nel 2003 dal precedente progetto Kali for Women, la casa editrice Zubaan si occupa di tematiche di genere e intende diffondere e accrescere la cultura al femminile, non solo attraverso la pubblicazione di libri (saggi, romanzi, traduzioni...), ma anche organizzando workshop e conferenze, in collaborazione con associazioni non governative. Tra queste attività, spiccano in modo particolare i corsi di scrittura creativa, riservati alle donne e alle ragazze: scopo primario della casa editrice è, infatti, fungere da punto di riferimento culturale e sociale all'interno del panorama femminile letterario indiano e, più in generale, del Terzo Mondo.

Urvashi Butalia

Urvashi Butalia: non nascondiamo le cose sotto il tappeto
La condizione delle donne in India è difficile, preoccupante. Si pensino agli ultimi terribili episodi di violenza, riportati anche dai media occidentali: dal caso dello stupro di gruppo subito da Jyoti Singh Pandey (violentata e uccisa dal branco su un autobus) alla morte terrificante della sedicenne violentata per ben due volte e infine arsa viva, affinché non potesse denunciare i suoi assalitori.
La statistica riguardante i "Paesi peggiori in cui nascere donna" colloca l'India al 4° posto. Il Paese più pericoloso in assoluto per le donne è l'Afghanistan; seguito da Congo, Pakistan, India e Somalia.
Ma anche in Occidente la strada ancora da compiere per ottenere il pieno riconoscimento della dignità e della parità femminili è lunga e tortuosa. Ce lo ricorda la stessa Urvashi Butalia, intervistata da Marina Terragni nel settembre 2013:
«Le statistiche sugli stupri sono molto peggiori in America che in India. Ebbene: quand’è stata l’ultima volta negli Stati Uniti si è manifestato contro la violenza? E chi ne sta parlando? Nemmeno in Italia i dati sulla violenza sono confortanti: quando c’è stata l’ultima manifestazione sulla violenza nel vostro Paese? E il vostro movimento delle donne ne parla a sufficienza? Se ci si chiede quando c’è stata l’ultima manifestazione in India, non si va molto indietro nel tempo. Noi parliamo dei nostri guai, non li nascondiamo. E non puntiamo l’indice contro altri Paesi dicendo che il problema sta lì e non qui. Non ho visto molti altri fare questo.»
Purtroppo noi donne, in Italia, siamo ancora molto esitanti: non proclamiamo il nostro dissenso con sufficiente energia. Temiamo forse che ci diano delle "vetero-femministe"... La stessa parola ("femminismo") ci spaventa un po'. La consideriamo troppo perentoria, denigratoria nei confronti del maschio (che, sotto sotto, ancora siamo abituate a servire...) e decisamente fuori moda.
Al contrario, dovremmo smetterla di essere educate, remissive e disposte al sacrificio. Smettiamola di mostrarci superiori alle offese, nel tentativo di non sporcarci le mani: ci sono momenti, al contrario, in cui gridare con voce stentorea il proprio dissenso è doveroso.
In questo processo di affermazione della consapevolezza femminile, la letteratura può avere un ruolo fondamentale, coma racconta la stessa Butalia:
«Quando ho creato Kali for Woman […] in India vi erano tante iniziative e le questioni di genere erano già discusse da un nutrito gruppo di donne. Quello che mancava era una letteratura che mettesse nero su bianco tutti questi discorsi. Qualcosa che poteva essere letto.» Questo perché «le donne sono pronte a denunciare le violenze che subiscono. Ormai si è acceso un motore che sarà difficile da spegnere». (Fonte: Libreriamo.it)
Un motore che si alimenta proprio per mezzo della forza propulsiva delle parole.

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