lunedì 16 aprile 2007

Albina o il popolo dei cani

«Come tutti i cileni, la Jaiba parlava cantando, con la voce che le vibrava nel naso; rideva di tutto, anche della morte di un personaggio celebre, che commentava con una battuta crudele; beveva vino rosso, fino ad addormentarsi di schianto, per risvegliarsi scalza perché le avevano rubato le scarpe; mangiava empanadas e polpa di riccio di mare in salsa verde accompagnata da peperoncino fresco extrapiccante; quando i carabinieri ammazzavano a bastonate un “agitatore politico” in mezzo alla strada, guardava dall’altra parte, facendo finta di niente; ma non era cilena, bensì lituana.» (P. 7)

Sconcio e surreale, Albina o il popolo dei cani è una favola filosofica che racconta la storia della brutta (per sua volontà) Jaiba e della bellissima gigantessa Albina, condannata da una maledizione a trasformarsi in cagna ad ogni plenilunio.
Tutte le volte che la luna si alza, perfetta e tonda in cielo, la gigantessa ingenua e bianchissima si perde e, dimentica della propria natura, va a caccia di uomini, ai quali trasmette il contagio e con cui poi si accoppia, in una frenesia che non ha nulla di prolifico ma che, piuttosto, ridesta la morte.
Ed è proprio per sconfiggere la Terza Parca (richiamata nel paese di Camiña dove da anni non moriva più nessuno, si è sistemata all’ombra dei cipressi ed è tornata a tagliare i suoi fili) che Jaiba, il nano Amado e Albina si mettono in viaggio, attraverso un arido deserto popolato da ragni giocosi, per trovare un viatico che possa salvare il mondo.
Avventura multicolore, diario di un amore e racconto di morte, Albina conduce il lettore attraverso un viaggio dell’incertezza e della speranza, in cui nulla e nessuno è ciò che appare.

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