lunedì 13 settembre 2010

Leggere Lolita a Teheran

Nell’universo caotico e demoralizzante dei “contratti interinali”, dei Co.co.pro. (esiste espressione più brutta a questo mondo?), delle collaborazioni saltuarie, mensili, quindicinali, R. è stato mio collega per ben quattro mesi. Girava fra le risaie della zona sotto il sole e con l’afa impietosa della Pianura Padana, nelle ore più calde della giornata. Eppure riusciva ad arrivare in ufficio ogni giorno offrendoci un sorriso, una battuta spiritosa. La sua presenza era ingombrante: un uomo corpulento, amante dei piaceri della tavola. Passava parecchio tempo a discutere con F. delle diverse varietà di peperoncino o (con mio grande rammarico!) del modo migliore di cucinare un maialetto al forno.
Finché un giorno non vide sulla mia scrivania (rigorosamente voltato con la copertina di sotto: ostentare il titolo del libro in lettura è un’impudicizia che non sopporto) La vita emotiva dei gatti, di Jeffrey M. Masson. Non un romanzo, ma un aggraziato elogio della felinità: tuttavia, poiché da sempre letteratura e gatti vanno a braccetto, finimmo per parlare delle nostri recenti e predilette letture.
R. si rivelò un lettore intelligente, curioso, smaliziato. Non aveva mai letto L’amante di Lady Chatterley – che io non persi occasione di menzionare – ma era rimasto folgorato da Lolita, che aveva divorato in breve tempo.
«E sai perché? Perché ho trovato quest’altro libro, Leggere Lolita a Teheran, in cui non si faceva altro che parlare di Nabokov e io, mentre leggevo, continuavo a dirmi che dovevo conoscere Lolita… e così…»
Il giorno dopo R. arriva con un libro dalla copertina rossa, edizioni Adelphi. Leggere Lolita a Teheran, appunto, dell’insegnante iraniana Azar Nafisi.
Il libro non è un romanzo; non è neppure un saggio. E’, piuttosto la ricostruzione fedele da un lato dei tumultuosi anni successivi alla rivoluzione di Khomeini, dall’altro del difficile percorso affrontato da una donna che ha la duplice colpa di essere donna e di amare la letteratura occidentale.
Così, tra il racconto dei bombardamenti, tra la ricostruzione dei ritratti femminili (a volte ironici, a volte profondamente drammatici) delle studentesse di Azar Nafisi, l’autrice trova consolazione, conforto e autentici slanci di passione nelle opere letterarie che ha amato e che tenta con ogni mezzo (al di là della censura e della grettezza culturale dilagante con la “rivoluzione) di insegnare ai suoi giovani allievi.
Vladimir Nabokov, Francis Scott Fitzgerald, Henry James e Jane Austen si affacciano sulle pagine del libro (dando il titolo alle quatto parti in cui e suddiviso) come “lente” attraverso cui osservare la realtà, mantenendo limpido il proprio sguardo.
Memorabile la scena in cui Azar Nafisi, per difendere Il grande Gatsby dai ciechi attacchi dei suoi studenti più intolleranti, inscena in aula un vero e proprio processo al romanzo:

All’improvviso mi venne un’idea bizzarra. Visto che in quei giorni i processi pubblici parevano tanto di moda, perché non mettevamo Gatsby sul banco degli imputati? [...] Qualche giorno dopo venne a trovarmi Bahri. Era diverso dal solito, irritato, nervoso, tanto che mi parve fosse passato un secolo dal nostro ultimo incontro. [...] Era proprio necessario mettere un libro sotto processo? disse. La domanda mi colse alla sprovvista. Cosa voleva, che lo togliessi dal programma senza nemmeno una parola in sua difesa? E poi, conclusi, questo è un buon momento per i processi, no? [1]

Un autentico canto d’amore per la letteratura, quello di Nafisi, capace di restituire forza e speranza al di sopra di ogni aspettativa. E, perfino, di illuminare quella che pare essere un’ammissione di sconfitta più che un viaggio di speranza: l’abbandono dell’Iran da parte di Azar e della sua famiglia:

Lasciai Teheran il 24 giugno 1997, per cercare quella luce verde in cui una volta aveva creduto anche Gatsby. [...] Talvolta sul mio computer brillano come lucciole dei messaggi di posta elettronica oppure ricevo lettere spedite da Teheran o Sidney; sono i miei ex studenti, che mi parlano delle loro vite e dei loro ricordi. [...] Anche Nima insegna. Lui, l’ho sempre pensato, è nato per fare questo mestiere. [...] Manna scrive poesie, e quando di recente le ho detto che volevo scrivere un epilogo per il mio libro ma non sapevo che dire su di lei, mi ha mandato questo: “Sono passati cinque anni, da quando tutto è cominciato in una stanza luminosa di nubi, dove leggevamo Madame Bovary e mangiavamo cioccolatini da un piatto rosso come il vino, tutti i giovedì mattina. Dell’implacabile monotonia della nostra vita quotidiana non è cambiato quasi nulla. Io invece sono cambiata, in un certo senso. Ogni mattina, quando sorge il solito sole, quando mi sveglio e mi metto il solito velo davanti al solito specchio per uscire e diventare ancora una volta parte di quella che chiamano realtà, penso anche a un’altra ‘me’, nuda sulle pagine di un libro: in un mondo di fantasia, fissa e immobile come una statua di Rodin. E così rimarrò finché mi terrete nei vostri occhi, cari lettori”. [2]

Azar Nafisi
Leggere Lolita a Teheran
Adelphi
Milano 2008

Note
[1] A. Nafisi, Reading Lolita in Tehran, 2003 (trad. it. Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, Milano 2008, pp. 146 – 147).
[2] Ivi, pp. 373 – 375.

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