sabato 22 ottobre 2011

Donne poco serie

In queste settimane di tosse, mal di gola e raffreddore, ho tutto il tempo che voglio per leggere articoli e post nella Rete.
Due giorni fa, dunque, apro Facebook e, sulla pagina della mia amica Sara, trovo la storia di Caterina...

Caterina ha 28 anni e da anni si è sistemata all'estero, dove vive e lavora. Un giorno legge su Internet un'inserzione di lavoro, pubblicata dall'editore di un noto periodico, di cui Caterina preferisce non fare il nome. Lo chiamerà semplicemente e con grande signorilità "X".
L'inserzione recita:
Siamo sempre alla ricerca di uno o più stagisti per Assistente di Redazione per XXX. Teniamo aprecisare che, ahinoi, per almeno 8-10 mesi, il rimborso spese per uno stagista che deve imparare tutto, è minimo, quasi inesistente. Chiedete altrove quanto percepisce uno stagista. In alcuni casi, presso alcune importanti aziende, lo stage, assolutamente gratuito dura un anno. [...] Preghiamo dunque di rispondere al presente annuncio SOLO a chi possiede i requisiti richiesti e a chi può mantenersi per parecchi mesi a Milano.
Perplessa - nonostante non abbia alcun bisogno di avvantaggiarsi della "meravigliosa" offerta di lavoro dell'editore - Caterina decide di rispondere all'annuncio inviando una e-mail e ponendo un quesito ineccepibile dal punto di vista sia della logica sia dell'etica:
Mi spiega perchè i miei genitori o chi per essi dovrebbero pagare perché IO lavori PER lei? [...] Mi dica una cosa: se potessimo non lavorare per vivere, secondo lei, lavoreremmo?
 Piccato (e convinto che Caterina scriva in questo modo perché interessata al posto di lavoro, ma impossibilitata ad accettarlo a causa della mancata retribuzione), l'editore risponde:
Caterina, se tu fossi in grado di lavorare per noi ti offrirei subito, anzi, prima, due o tremila euro al mese. Prima impara a scrivere, a leggere dai siti e giornali del mondo, a fare una notizia in dieci righe, a fare l'editing di un testo, a impaginare con inDesign e poi potrai avanzare pretese.
Lo sai cosa dice Tronchetti Provera? Lavorare oggi a buoni livelli è un lusso. Se uno non lo capisce vada a lavorare al Mac Donald. E' forse il tuo caso? Auguri. X
PS. Chiedi allo Stato di aiutarti. La mia azienda non e' di beneficenza. E tu cerchi la beneficenza. X
A questo punto Caterina getta la maschera e afferma senza mezzi termini non solo di non avere alcun bisogno della "beneficenza" del parsimonioso editore, ma di possedere molte più competenze e conoscenze di quelle richieste dal suo potenziale datore di lavoro:
In tal caso sono lieta di farle sapere che non solo so scrivere ed impaginare con inDesign ma mi sono laureata in design col massimo dei voti e di software tecnici ne conosco almeno dieci tra grafica, photo editing, disegno e 3D. Parlo correntemente quattro lingue e la mia conoscenza dell'arte contemporanea è ottima. Vivo e lavoro all'estero da anni e mi creda, dal suo annuncio la cosa che vorrei meno al mondo è lavorare per lei. Meglio il Mac Donald's, quanto ha ragione! La beneficenza se la faccia fare lei, povero indigente che non può nemmeno pagare un povero stagista il minimo. Anzi, meglio: perchè non cheide all'ufficio delle imposte? Saranno lieti di aiutare chi fa profitto sul lavoro non pagato. Avanti così, lei è UN EROE.
Touché, verrebbe da dire. A questo punto "X" non saprà più che rispondere, ci si immagina. Lui che cita Tronchetti Provera come altri citerebbero Gandhi e che non chiede altro che la conoscenza di inDesign come requisito base per il suo lavoro NON pagato.
Macché. In Italia la realtà supera la fantasia e "X" spiazza tutti (forse anche la sua interlocutrice) ricorrendo alle armi più temibili e diffuse nel nostro Paese: la maleducazione, l'arroganza, il sessismo e la meschinità; e così risponde infine a Caterina:
Caterina, come vedi ora anche le mignotte debbono parlare 4 lingue, conoscere l'arte e inDesign. Il globalismo fa miracoli. Buon segno. Buon lavoro. X
La rivista in questione è "Flash Art", l'editore responsabile di aver pesantemente insultato la 28enne Caterina De Manuele è il gentleman Giancarlo Politi e questo è l'annuncio di "lavoro" diffuso dalla newsletter di "FlashArt". (Fonte: "Il Fatto Quotidiano")
Ovviamente, quando la notizia rimbalza sui giornali nazionali grazie a una lettera scritta da Caterina al Presidente della Repubblica, Politi si affretta a negare, accusando Caterina di aver manipolato la sua e-mail. (Non si capisce per quale motivo Caterina avrebbe dovuto farlo: esiste forse una  cospirazione ai danni dell'editore in questione? Il signor B. insegna. Oppure il suo scopo nascosto era quello di ricevere un rimborso per danni morali, da parte di un poveretto che non ha neppure i soldi per pagarsi uno stagista?)

Inutile dire che questa notizia mi ha colpita parecchio. Forse perché proprio nel post precedente parlavo di eleganza - e quotidianamente mi trovo costretta ad ammettere che, nel nostro Paese, di quella particolare elegance of mind non esiste più neanche l'ombra.
Viviamo soffocati da un clima (morale, intellettuale) mefitico, permeato da arroganza, atteggiamenti "a muso duro" da squadracce fascistoidi - in un Paese in cui imperversano i peggiori "-ismi" delle società contemporanee: razzismo, sessismo (guarda caso, Politi chiama Caterina proprio "m******a"), specismo. Dove una qualunque azienda (di piccole o grandi dimensioni, non ha importanza) può permettersi, con disarmante nonchalance, di cercare tirocinanti "inclini alla subordinazione", o, peggio, di chiedere ai propri futuri collaboratori un contributo in moneta sonante per sostenere il corso di formazione, precisando che dovranno astenersi dal rispondere all'annuncio tutti coloro che inseguono il miraggio del posto fisso. (Fonte: Manifesto della stagista)
Viviamo in un'Italia ormai surreale, in cui bisogna pagare per lavorare, con buona pace delle bollette che ci vengono recapitate nella buca delle lettere a fine mese. Il tutto condito dall'odiosa cafonaggine di chi (imprenditori, banchieri, finanzieri e farabutti d'ogni risma) cerca di aggrapparsi alle parti emerse di un relitto che sta (inesorabilmente) affondando.
Il grottesco è che pochi si rendono conto della drammaticità del nostro presente: la gente comune è inebetita da «reality show, spettacoli sportivi, musica sincopata, cartoni animati, notizie manipolate, editoriali falsi, scandali del jet set, quotidiani dozzinali, programmi deprimenti, oroscopi, maghi, libri scadenti, letteratura scandalistica» [1].
Abbiamo perso il senso delle proporzioni, non sappiamo scegliere le priorità né attribuire il giusto peso agli eventi. Ci scandalizziamo per i fatti minori e dimentichiamo (ma davvero è una questione di scarsa memoria?) le minacce di colpo di Stato, le collusioni fra mafia e potere politico, la vergognosa mercificazione del corpo delle donne - qui, nella nostra modernissima Italia.

Pronti a puntare il dito contro arabi ed extracomunitari, a fare crociate impetuose contro i veli delle donne musulmane, non vediamo come vengono trattate le donne nel nostro Paese, dove di veli non ne esistono e anche gli abitini di veline e soubrette sono ridotti al minimo sindacale. Ridiamo (sotto sotto, sì, se ne ride) del "bunga-bunga" e non ci inquietiamo più di tanto (almeno non quanto dovremmo) se una giovane donna preparata, competente e consapevole dei propri diritti che tenta di affermare la sua dignità viene etichettata come una "m******a".
Del resto, ogni giorno dobbiamo fare i conti con una realtà sociale in cui le donne poco serie (autentica vergogna del femminino) sono adulate e ammirate (loro sì che hanno capito come va il mondo e hanno saputo approfittarne!) e quelle più intelligenti osteggiate e detestate, perché detentrici di un potere pericoloso.

Ho sempre creduto che la riscossa contro questa deriva morale e culturale sarebbe venuta dalle donne; oggi non ne sono più così certa. Perché, se pure mi rincuora lo slancio con cui Caterina parla al Presidente Napolitano dell'entusiasmo cui i suoi amici e amiche devono far ricorso per
reinventarsi una carriera, farsi venire nuove idee, trovare chissà dove la motivazione a ricominciare a crederci, ad andare avanti, nonostante gli sfruttamenti dei milioni di X che popolano questo Paese
tuttavia non posso fare a meno di pensare che, forse, questo loro slancio non durerà per sempre. Che forse, prima o poi, la vita (qui, in questo Paese) li trasformerà in cinquantenni annichiliti. E che Caterina - che ce l'ha fatta e ha avuto la soddisfazione di poter scrivere a Giancarlo Politi: «Tienitelo pure, il tuo lavoro non stipendiato; io ho già una professione, un contratto e un vero stipendio» - per farcela ha dovuto (che le piacesse o meno) abbandonare l'Italia. Fare armi e bagagli e accontentarsi di una decorosa ritirata. E mi viene da pensare alla fine che potranno fare, tutte quelle donne, quelle "m******e", come probabilmente le definirebbe Politi, che da qui non possono o non vogliono andarsene.
Le faranno a pezzi? Ci ridurranno a brandelli, togliendoci anima e speranze?

Dissemino le stelle intorno al mio corpo
comunicando con ogni fibra sensibile, con ogni cellula:
che cosa sono il nome, il verbo, l’identità?
Né il divieto mi annulla
né l’imperativo mi plasma
né il nome mi contiene.
Wafaa Lamrani

Note
[1] C. Kane, The Unscratchables, 2009, trad. it. Gli Ingrattabili, TEA, Milano 2009, p. 270.

3 commenti:

Rita ha detto...

Citare Tronchetti Provera e il McDonald's la dice lunga sulla volgarità del tizio in questione.

Lavorare oggi a buon livello è un lusso? Ma il lavoro non dovrebbe essere un DIRITTO, come cita anche la nostra Costituzione?

Io trovo scandaloso questo stato di cose che si è venuto a creare in Italia per cui gli imprenditori (e datori di lavoro in genere) dettano legge e i dipendenti devono sottomettersi abdicando pian piano a tutti quei diritti che sono stati conquistati a forza di dure lotte.
E mi arrabbio sempre con tutti quelli che accettano di lavorare fino a dieci ore al giorno per poche centinaia di euro (senza ferie, né contributi, né permessi, senza assunzioni regolari e con gli straordinari non retribuiti) perché va bene che quando c'è bisogno c'è bisogno e che per taluni poco, anzi pochissimo, sarà meglio di niente, ma se non ci ribelliamo noi lavoratori chi lo farà per noi? Andando avanti di questo passo capiranno che siamo disposti a farci schiavizzare sempre più.

Purtroppo ormai tantissima gente assomiglia sempre più agli Zombie del film di Romero, quelli che, completamente lobotomizzati, prendono d'assalto un centro commerciale.
Sembra che la sola risposta sia quella di rifugiarsi nel consumismo più sfrenato (vedi quello che è successo a Roma per l'apertura di un nuovo negozio Trony, alcune settimane fa: più di 8.000 persone in fila, traffico paralizzato sin dalle prime ore del mattino, mezza città bloccata, risse, interventi dei vigili e dei carabinieri per cercare di mantenere l'ordine, vetrine in frantumi, autobus deviati, gente che pur di afferrare qualcosa, dopo sette, otto ore di fila, ha comprato pure quello che non gli serviva... una follia insomma! Gente che ha dormito all'aperto accampata sin dalla sera prima! Roba da matti!) e tutto questo ovviamente è il risultato di decenni di televisione commerciale (mediaset in primis!) e di codificazione ad arte per indurre la gente a dismettere la propria capacità raziocinante.
E' un'epoca buia. Di Follia e Violenza. Di decandenza. Ci riprenderemo sicuramente, ma ci vorrà tempo.
Io sono disoccupata al momento, ma a fare gli stage gratis non ci vado, preferirei chiedere l'elemosina se proprio dovessi averne bisogno.
E poi la situazione lavorativa pessima che si è venuta a creare è anche colpa della globalizzazione e della dislocazione del lavoro, per cui le multinazionali e le grandi aziende in genere vanno a produrre in quei paesi dove la forza lavoro costa zero (perché non c'è tutela del lavoratore, perché non vengono rispettati i diritti umani fondamentali) e l'Europa anziché opporre un modello etico di produzione e di lavoro nel rispetto delle norme (di sicurezza, previdenza sociale ecc.) preferisce rendersi concorrenziale abbassando sempre più gli stipendi ed imitando i modelli di sfruttamento.
(segue)

Rita ha detto...

(segue da commento precedente)

Ho un amico, laureato in economia e commercio, che lavora come impiegato in un negozio di abbigliamento (in realtà fa un po' il tuttofare, diciamo che aiuta il proprietario nell'amministrazione di questo negozio, che è molto grande ed ha due punti vendita): lavora dieci ore al giorno, con pausa pranzo di appena cinque minuti (e che peraltro non gli pagano, non gli rimborsano nemmeno il panino), una settimana di ferie all'anno, sabato e domenica lavorativi (a Roma i negozi del centro sono aperti sempre) e poi siccome è bravo in informatica gli fanno risolvere pure tutti i problemi relativi alla rete aziendale, lo chiamano a sbrigare faccende personale (del tipo, sai, si è rotto il computer di mia moglie, non è che stasera dopo il lavoro potresti passare a dare un’occhiata? Ovviamente gratis, eh). E sai qual è la cosa terribile? Che a lui sta bene così perché il capo gli ha fatto un vero e proprio lavaggio del carvello; gli ha detto che è necessario fare così altrimenti non sarebbero abbastanza competitivi nei confronti dei Cinesi, perché i Cinesi lavorano anche 12 e 14 ore al giorno, e i Cinesi dormono in sette in una stanza e i Cinesi di qua e i Cinesi di là. Bada bene, a lui in tasca non entra un solo soldo in più se anche gli affari del nogozio vanno bene. Non è un socio. E solo un impiegato. Quindi a lui viene chiesto di fare i sacrifici, e però i guadagni in più restano al padrone. Che, per inciso, va in giro una bella macchina e vive in una bella casa. Insomma, ai dipendenti chiede di fare come i Cinesi (che lavorano 12 ore al giorno e dormono in sette dentro una stanza), lui però guadagna su questi sacrifici.
Siamo tornati indietro di 50 anni.
Ora, mi pare ovvio che c'è qualcosa che non quadra: non siamo noi che dovremmo prendere a modello le condizioni lavorative dei Cinesi, visto che appunto non rispettano determinati diritti umani e lavorativi e che nel loro paese talvolta sfruttano persino le donne ed i bambini facendoli lavorare e dormire in capannoni umidi e senza riscaldamento, praticamente senza sosta.
Non sarebbe il caso di pretendere la regolamentazione del lavoro anziché prendere come esempio dei modelli di quasi schiavitù per essere più concorrenziali?
Questo la gente non vuol capire.
Subisce passivamente tutte le brutture e distorsioni del sistema capitalistico globale, come fosse un qualcosa di granitico, di inamovibile, una legge della natura incontrovertibile.
Invece c'è bisogno di analisi, di capire come mai si fanno certi discorsi, come mai oggi chi comanda può permettersi di schiavizzarci così e di far passare il messaggio che se lavori gratis, non solo è prestigioso, ma devi pure ringraziare. Un lusso, come ha detto Politi. Ci lavorasse lui gratis.
Per inciso, a me Flash Art non piace. Fa il bello ed il cattivo tempo nel mondo dell'arte, solo ed esclusivamente sotto il profilo economico. Se hai i soldi e ti puoi permettere di pagare un buon critico d'arte, allora automaticamente viene stabilito che sei un genio, altrimenti non sei nessuno, pure se hai talento. Il solito discorso insomma.
Per come la vedo io, buona parte della crisi c’è proprio perché stiamo permettendo questo divario mostruoso tra chi gestisce le risorse e chi invece deve trovare lavoro (il ricatto degli imprenditori sulla base che si deve abbassare il costo del lavoro, ossia gli stipendi, senza contributi ecc. è cominciato nel momento in cui hanno voluto adeguarsi alla deregolamentazione).
Scusa se mi sono dilungata, ma non ce la faccio più a veder accadere certe cose.
E poi la volgarità di certe persone davvero non la sopporto. Cioè, da quando Tronchetti Provera è diventato un esempio? Ma siamo matti?
Un saluto :-)

Eloisa ha detto...

Carissima,

ti dò ragione - assolutamente. La colpa è (anche) nostra. L'Italia è sempre stata un Paese un po' becero e vigliacco (almeno nella storia più recente), capace di risollevarsi solo quando aveva toccato il fondo, il vero fondo. Evidentemente questo non è ancora capitato. Dopotutto, possiamo comperarci ancora (magari pagandolo a rate!) l'ultimo iPhone, con cui mandare sms per votare i concorrenti del "Grande Fratello".

Con un'esagerazione, io dico spesso che non siamo ancora riusciti a scrollarci di dosso la filosofia panem et circenses.

Il punto è: fino a quale infimo livello prima che gli italiani (la cui maggioranza, dopotutto, ha VOTATO la classe dirigente che oggi ci ritroviamo) aprano gli occhi e tirino fuori un po' di coraggio?

Buona giornata :)

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