venerdì 8 giugno 2012

E come Educazione

Dal dizionario etimologico
EDUCARE: dal latino e (da, di, fuori) - ducere (condurre, trarre), "condurre fuori l'uomo dai difetti originali della rozza natura, instillando abiti di moralità e di buona creanza".

In questi giorni sto leggendo un saggio bellissimo di Anne Lamott, dedicato alla scrittura creativa. Non sono affatto un'appassionata di questo genere di pubblicazioni, ma la penna della Lamott è coinvolgente e onesta e mi ha catturata fin dalle prime righe.
Fra tanti consigli utili riguardanti il difficile "mestiere di scrivere", ho trovato anche uno stralcio di carattere più generale, che non ho mancato di annotare sul mio Quadernetto di Citazioni:
[...] ognuno di noi alla nascita riceve in dono un terreno emotivo, tutto per sé. Voi ne avete uno, l'orrendo zio Phil ne ha uno, io ne ho uno, Tricia Nixon ne ha uno, chiunque ne possiede uno. Potete farne ciò che volete, purché non offendiate nessuno. Potete piantarci fiori, alberi da frutto, filari di verdure in ordine alfabetico, oppure niente. Se volete, potete trasformarlo in un enorme mercatino delle pulci o in uno sfasciacarrozze, siete liberi di farlo. Il campo però è recintato e c'è anche un cancello: se qualcuno s'ostina a insudiciarlo o tenta di convincervi a fare ciò che crede giusto, voi a un certo punto lo inviterete ad andarsene. E lui dovrà farlo, perché quel pezzetto di terra vi appartiene. [1]
Sarò superstiziosa, ma credo che certe letture non avvengano mai per caso - specie se "capitano" in determinati periodi. Perciò le parole di Anne Lamott riguardo alla bellezza del nostro "orto interiore" e al dovere (imprescindibile) di ciascuno di noi di preservarla da sgradevoli attacchi e intrusioni mi hanno - oggi più che mai - piacevolmente colpita.

Proprio in questi giorni, infatti, discutevo con un'amica della difficoltà di allacciare e coltivare rapporti umani (amicali; ma anche sentimentali) duraturi e soddisfacenti.
Al di là di ogni giudizio morale sulle singole persone, sono dell'idea che, alla base di molti contrasti, vi sia nel complesso una semplice e grande maleducazione. O, se preferite, chiametela più coloritamente cafonaggine.




Non rispondere all'sms, al messaggio, alla mail di qualcuno è maleducazione. Specie se il non rispondere è intenzionale e nel messaggio sono contenute richieste particolari. (La distrazione - questo vizio adorabile - è un'altra cosa e ne parlerò in un altro post... Appena riuscirò a ricordarmene!)

Svicolare di continuo dalle proprie responsabilità, evitando (sapientemente!) di chiarire le proprie posizioni è maleducazione.

Ostinarsi a chiedere sempre, senza mai offrire nulla in cambio è maleducazione.

Non immaginare che un gesto piccolo (una telefonata fatta al momento giusto, un abbraccio, un sorriso onesto) possa rappresentare molto per chi abbiamo di fronte a noi è maleducazione.

Obbligare gli altri ad ascoltare (spesso fino a tarda notte!) il resoconto dei nostri problemi e inquietudini è maleducazione.

Blaterare sempre di noi stessi, di quanto sia sviluppata la nostra sensibilità, senza dar segno di preoccuparsi anche dei sentimenti altrui, è maleducazione.


Insultare e offendere il nostro interlocutore con termini volgari e un tono di voce sgradevole, giustificandosi poi con un semplice "Scusa, ho perso la testa; tu però mi hai detto così... e allora io non ci ho più visto" è maleducazione.


Esprimere giudizi duri e taglienti senza conoscere a fondo l'argomento o la persona di cui si sta parlando è maleducazione. (Avete presente quegli uomini un po' destrorsi che non perdono occasione di condannare l'aborto con parole e aggettivi degni della peggiore retorica nazifascista? Ecco, ci siamo capiti...)

Ed è cattiva educazione (questa volta nei confronti di noi stessi: si può essere spudorati anche verso il proprio "io") non impedire a determinate persone, rozze e poco garbate, di continuare a fare scempio della nostra tranquillità emotiva.

Tutto questo non c'entra nulla con la moralità di una persona né con il fatto che possa avere ragione o torto in determinate circostanze. Si può essere educatissimi pur restando ancorati a convinzioni errate. Tuttavia sono convinta che l'esercizio costante dell'educazione (intesa come mezzo di elevazione spirituale e pratica quotidiana di empatia) sia destinato a produrre necessariamente un miglioramento del nostro modo di essere e di vivere nel mondo.

Perciò, anziché ricercare le radici della nostra insicurezza e del nostro cattivo umore nel rapporto coi genitori, attraverso costose sedute di psicanalisi, cerchiamo prima di tutto di rispolverare il caro e vecchio galateo. Senza quello, non c'è autoanalisi che valga...

2 commenti:

Rita ha detto...

Non sai quanto concordi con te.
Oramai la maleducazione è diventata la norma. Si è, per così dire, normalizzata, diventando un comportamento usuale.
Aggiungerei alla tua lista, la mancanza di puntualità delle persone. E non mi riferisco di certo allo sforare di cinque, dieci minuti, ma al far attendere anche per ore. Significa non tenere in considerare il tempo altrui, quindi mancare di rispetto alla persona che si fa attendere, come se il suo tempo non valesse nulla. Ovviamente ci sono gli imprevisti, ma basterebbe avvertire, no?

Eloisa ha detto...

Hai ragione! E non so come ho potuto dimenticare di inserirlo nella mia black list: è un "vizio" che dà molto fastidio anche a me.
Come dici tu, significa non tenere in nessuna considerazione il tempo altrui, eventuali altri impegni ecc.

E' dalle piccole cose, che si può intuire la serietà di chi abbiamo di fronte...! :)

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