martedì 20 gennaio 2015

Come animali

Riflessioni sulla violenza contro le bambine

Sarà che mi piacciono così tanto gli animali, sarà che con loro ho trascorso tutta la mia vita... Fatto sta che espressioni come "morire come un cane", "soffrire come una bestia" non le ho mai trovate particolarmente scomvolgenti.
Di cosa dovrei mai scandalizzarmi? In ogni tempo e in ogni luogo, da sempre i più deboli (a qualunque specie, sesso o età appartengano) sono accomunati da una lunga pratica del dolore. Poiché da sempre l'Uomo (l'Uomo-maschio, l'Uomo-bianco, l'Uomo-occidentale... sbizzarritevi a trovare gli aggettivi che più vi aggradano) prova un piacere sottile nell'affermare il proprio dominio a scapito degli altri. Nel dominare. Nel possedere. Nell'annientare.
Così, non esiste differenza tra le povere prostitute-bambine del Bangladesh e gli animali dei nostri allevamenti e mattatoi:

«Non ci si può ammalare, è un gran peccato se ti succede, perché ti scartano e non lavori più, poi finisci per strada, neanche al bordello dei poveri di Faridpur ti prendono più, se non hai un bell'aspetto non vali niente e diventi solo carne da macello, proprio come le mucche.»

Bambine e mucche imbottite di Oradexon, perché diventino più grasse, più appetibili. Bocconi succulenti per il palato dei loro aguzzini. Carne fatta a pezzi, una volta diventata inutile:

«Mi hanno addormentato con un'iniezione. Ho sognato la ruota di Dacca tutta illuminata, mentre mi portavano via fegato e reni. Poi per fortuna mi hanno fatto morire in pace. Finalmente non servivo più a nulla.»

Prostituta-bambina in un bordello di Tangai. Foto di © Andrew Biraj per Reuters.

Adesso so che vi scandalizzerete. Che griderete "all'orrore". Tutti quanti. Forse anche quei maschi (bianchi, occidentali) che sono tra i principali frequentatori dei bordelli del Bangladesh, della Thailandia... Poveri uomini. Dopotutto, non potevano immaginare che le loro piccole concubine fossero così giovani... Gonfiate com'erano, con tutte quelle cow pills!

Dunque, bambine "pompate" come animali "da allevamento", vendute per poco - come merce di scarso valore.
E perfino bambine affogate come gattine, cuccioli indesiderati di un consorzio umano che ancora oggi, nel 2015, considera una sventura nascere donna.

«Prima era una barbarie: ci facevano nascere e poi ci buttavano nel fiume chiuse in un sacco come i gattini, o ci soffocavano con il sari che avremmo dovuto indossare.»

Una vera crudeltà. Oggi, invece, tutto è diverso: in India, in Bangladesh, in Cina, in Corea del Sud, in Pakistan, le bambine muoiono precocemente (e misteriosamente) solo nelle arretrate campagne. La civiltà, infatti, avanza imperiosa e le moderne tecnologie in ambito medico e scientifico consentono di stabilire anticipatamente il sesso del nascituro, in modo che sia possibile pianificare e praticare aborti selettivi.
Un gran bel vantaggio, non credete? E' sufficiente pagare una quarantina di sterline e ci si libera in fretta di un feto non desiderato. Ci si risparmia la fatica della gravidanza - e di vederla nascere, questa piccola fonte di guai. Si procede rapidi (a dispetto di tutte le leggi varate negli ultimi decenni che vieterebbero - il condizionale è d'obbligo - tanto la diagnosi precoce del sesso del nascituro quanto l'aborto selettivo) sulla via dell'eugenetica a base sessuale.
Del resto, non si fa mica alcun male. Non sono bambine... O meglio, avrebbero potuto esserlo. Ma non sono neppure nate. Sono meno che impronte. Petali spazzati via dal vento della modernità, della civilizzazione.

«Sta tutto in come la cultura percepisce e descrive le donne. Sino a che avremo meno valore degli uomini, sino a che saremo considerate "fardelli", la violenza contro di noi continuerà ad andare "dall'utero alla tomba" e non finirà.»


Continua...

(Le citazioni presenti nel post sono state tratte da Ferite a morte, di Serena Dandini e dall'intervista a Nyna Pais Caputi, regista del film documentario Petals in the dust. L'intervista è stata tradotta in italiano da Maria G. Di Rienzo sul suo blog Lunanuvola.)

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