«Non pensate, come tante volte si sente dire, che per noi donne abortire sia come farsi una "messimpiega..." Nossignori! È un momento terribile. [...] Noi donne tutte siamo contro l'aborto. Vogliamo avere i nostri bambini quando è il giusto momento. L'aborto è un'esperienza tragica, dolorosa... per tutte. Il Papa non lo sa, ma noi donne sì.» [1]Così scriveva l'indimenticata Franca Rame nel 1994, raccontando l'esperienza dell'aborto: un intervento clandestino, eseguito in un caseggiato di periferia. L'infermiera e il medico che le raccomandavano: «Non pianga, non gridi; altrimenti la mandiamo via!». E dopo... quel sentirsi umiliata, defraudata, colpevole - quasi morta.
E' oltraggioso pensare che un aborto possa essere deciso a cuor leggero: per una donna (più o meno giovane, più o meno consapevole dei casi della vita) è sempre una decisione sofferta, che lascia una cicatrice indelebile.
A pensarci bene, nessuno di questi soggetti avrebbe veramente diritto di strepitare riguardo ad un argomento tanto delicato. Eppure lo fanno. Montano sullo scranno, puntano il dito. Obiettano. Sul corpo e sul destino di altre persone.
In Spagna ha suscitato aspre polemiche la proposta di legge del governo Rajoy, che vorrebbe consentire alle donne di abortire solo in caso di violenza sessuale denunciata e non in caso di malformazione del feto.
Gongolano i cattolici e gli ultra-conservatori, mentre le donne libere di tutta Europa domani, 1° febbraio 2014, scenderanno in piazza per protestare, al grido dello slogan "Yo decido - Decido io". Sono previste manifestazioni a Milano, Torino, Roma, Firenze, Londra, Madrid, Bruxelles, Parigi...
Yo decido! - Immagine di © Anarkikka |
Al contrario, pretendiamo un intervento ospedalizzato, rispettoso della salute e dell'emotività femminili.
Purtroppo, anche questa realtà sembra essere sempre più remota, con buona pace della legge 194.
In Italia, infatti, il fenomeno dell'obiezione di coscienza è ormai capillarmente diffuso in ospedali e consultori: come se non bastassero i volantini terroristici dei "movimenti per la vita", distribuiti a piene mani nelle strutture della sanità pubblica, anche molti ostetrici e ginecologi fanno di tutto per ostacolare la realizzazione di un diritto sancito dalla legge.
L'obiezione avviene non solo in occasione dell'aborto vero e proprio, ma anche durante le precedenti visite di controllo e di accertamento della gravidanza. Tanto che può capitare che una visita ginecologica sia posticipata di settimana in settimana - mentre il personale dell'ASL si mette alla ricerca di un medico non-obiettore, disposto, senza troppi capricci, a svolgere il suo lavoro e ad attenersi alle disposizioni legislative vigenti nel nostro Paese.
Nel delicato stato psicofisico in cui si trova una donna che ha deciso di abortire, ella dovrà affrontare anche questi beceri moralismi, queste assurdità tutte italiane.
La percentuale degli obiettori di coscienza è tanto alta da mettere a rischio la salute di molte donne, che decidono di ricorrere all'IVG (Interruzione Volontaria della Gravidanza) clandestina, come rivela un'inchiesta condotta da "La Repubblica" nel maggio del 2013.
Secondo le stime, l'80% dei ginecologi italiani e il 50% degli anestesisti avrebbe scelto la strada dell'obiezione di coscienza. E non è raro imbattersi in ambulatori che espongono (con un certo orgoglio) sulla porta d'ingresso il cartello: «Qui non si effettuano più IVG». La drammatica scelta dell'aborto viene dunque trattata come un vezzo femminile - un servizio che può essere erogato a discrezione del medico: chiunque, oggigiorno, può permettersi di decidere del destino di una donna.
Un simile incremento dell'obiezione di coscienza non fa che favorire la diffusione di cliniche clandestine e di spaccio di medicinali abortivi: non solo la famigerata RU486, ma anche farmaci capaci di provocare l'aborto come effetto collaterale. Il "misoprostolo", ad esempio, utilizzato per curare l'ulcera, provoca l'interruzione della gravidanza e viene smerciato in Italia da gang sudamericane che lo rivendono a donne e ragazzine italiane ed extracomunitarie.
Le cliniche clandestine sono un business milionario; ma, per abortire, esistono metodi anche più rudimentali, a cui fanno ricorso coloro che sono state respinte dal sistema sanitario pubblico: uncini, pasticche, emorragie provocate con vari mezzi. Donne e ragazze di ogni età tornano a morire di nascosto, senza fare troppo strepito e fra atroci sofferenze - come accadeva prima del 1978.
Le cifre sono spaventose: il Ministero della Sanità calcola che potrebbero essere 20.000 gli aborti illegali praticati ogni anno nel nostro Paese. Con ogni probabilità, si tratta di una cifra sottostimata, a cui bisogna aggiungere i 73.000 aborti spontanei annuali, aumentati di 17.000 casi rispetto al 1982 (dati Istat).
Questi i numeri, freddi e significativi al tempo stesso.
Al di là di essi, vi è la drammaticità del dato umano, che troppo spesso rischiamo di dimenticare. Presi come siamo dalla nostra smania di catalogare (suddividendo le donne in oneste e peccatrici, tra madri e abortiste), ci facciamo beffe di un dolore grande - occupiamo con urla e slogan uno spazio che dovrebbe essere concesso al silenzio.
Non resta che da domandarsi se sia questa la società che vogliamo costruire e lasciare in eredità ai nostri figli. Quei figli che amiamo sino al parossismo quando non sono che piccoli embrioni; e di cui poi ci disinteressiamo del tutto, quando si tratta di princìpi e valori da conservare e trasmettere e di un mondo migliore da costruire.
Note
[1] Franca Rame in Sesso? Grazie, tanto per gradire.
[2] Dalla testimonianza di uno studente universitario di Roma, riportata in Benotti, La sfida femminile.
Nessun commento:
Posta un commento