lunedì 27 gennaio 2014

Ernst aveva un sogno...

Il piccolo Ernst Lossa
(1929-1944)
Ernst voleva essere ben disposto nella sua bara. Seppure da morto, voleva avere un aspetto ordinato e desiderava che qualcuno lo ricordasse - perfino in quell'inferno che era l'ospedale psichiatrico di Irsee, nella Germania bavarese.
Ernst morì il 9 agosto del 1944, a soli 14 anni, ucciso dall'infermiera nazista Pauline Kneissler, responsabile della morte di altri 250 bambini.
Tutti zingari o disabili: ragazzi vivaci, che volevano ridere, correre, saltare e giocare; ma che per il regime folle della Germania nazionalsocialista erano indesiderabili.
Fu ucciso con un cocktail di morfina e scopolamina. Fece una morte orribile
«Lossa era consapevole della morte innaturale che lo attendeva. Doveva avervi visto pazienti che ricevevano pastiglie o iniezioni particolari. Sapeva di essere destinato a rimozione. Di dover morire presto... Nel pomeriggio del giorno prima di dover morire, mi regalò una foto con dedica. C’era scritto: "In memoria".
Gli chiesi: Perché "in memoria"?
E lui rispose: "Tanto io non vivo a lungo. Voglio morire quando sei di turno tu, così mi metti bene nella bara".
Però non ero in turno io: quando sono arrivato la mattina, Lossa non era nel suo letto.
Era seduto a terra nella stanza dei bambini. Aveva il viso blu, la bava alla bocca e la pelle della bocca e del corpo sembravano borotalco, tanto erano squamate.
Ho provato a parlargli ma non... È morto nel pomeriggio.
La diagnosi fu di broncopolmonite.» [1]
e fu condannato a soffrire, a saggiare fino in fondo la crudeltà umana solo perché nato da una famiglia di zingari, che si guadagnava da vivere dipingendo immaginette sacre.
Gli zingari, si sa, sono diversi da noi. Sono per natura ladri, sociopatici. Non meritano di vivere - e di sicuro non possono godere dei diritti riconosciuti al resto della collettività.
I referti medici raccolti nella cartella clinica di Ernst confermano le sue presunte "turbe psichiche". Parlano di un ragazzo «vivace, scaltro, pieno di piccole malvagità e cattiverie [...] incline alla scontentezza ed alla ribellione», che «ruba tutto quello che vede».
E' vero: in seguito alla morte della madre e del padre (quest'ultimo ucciso nel campo di concentramento di Flossenburg), ad un soggiorno presso il riformatorio di Dachau e al ricovero forzato presso l'ospedale psichiatrico di Kaufbeuren, Ernst aveva iniziato a rubare cibo e frutta.
La clinica di Kaufbeuren, del resto, era celebre per il programma Aktion T4, ideato dal medico e psichiatra Valentin Falthauser. Si trattava di una dieta priva di grassi (a base di cavoli, mele e rape), che aveva lo scopo di indebolire e minare il fisico degli internati fino a condurli alla morte. «Un'eutanasia misericordiosa, inferta per pietà ad adulti e bambini» dichiarò la Kneissler durante uno dei processi secondari di Norimberga, nel 1946. In realtà, si trattava di uno sterminio programmato, attuato in nome dell'eugenetica e dell'epurazione razziale decisa da Adolf Hitler.
Chi dimostrava di essere particolarmente resistente (come il piccolo Ernst, che rubava mele dalla dispensa per distribuirle agli internati più deboli e bisognosi), chi proprio non voleva saperne di piegarsi nel corpo e nello spirito veniva infine inviato a Irsee, dove si procedeva senza troppe remore all'uccisione per avvelenamento.
Ernst era consapevole della fine che lo attendeva. Eppure sembrava non perdersi d'animo. Era riuscito a conquistarsi le simpatie di molti infermieri, che rimandavano di giorno in giorno, di settimana in settimana, la data della sua esecuzione. In questo modo, Ernst riuscì a resistere per un anno e mezzo.
Chiese ad un infermiere (con cui aveva legato in modo particolare) di avere cura di lui dopo la morte. «Sei l'unica persona che mi vuole bene» gli disse.
Ernst era testardo, vivace, intelligente. Troppo scomodo, per i piani di sterminio messi in atto nella clinica di Isree. Alla fine, la direzione si stancò della benevolenza di cui il bambino godeva presso il personale sanitario e incaricò Pauline Kneissler di occuparsene personalmente. Così, la donna praticò anche su di lui la sua "misericordiosa" eutanasia, condannandolo ad un'agonia che durò più giorni.
Perché bisogna sopprimere "chi rallenta la marcia".
Soffocare chi ha una voce diversa.
Oltraggiare chi non sappiamo comprendere né accettare.
Bisogna annichilire, stuprare, rasare, torturare, fare scempio di chi non sa e non vuole tacere.

Hitler e i suoi scherani, il capo e il suo esercito di folli, ci hanno provato invano.
Al contrario, il sogno del piccolo Ernst si è realizzato: noi siamo infatti ancora qui a raccontare di lui, a sorridere dei suoi piccoli furti, a dargli affetto, a prenderci cura di ciò che è stato - e che non ha cessato di essere.

Note
[1] Da Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute, di Marco Paolini.

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