giovedì 19 giugno 2014

Flipback Mondadori: una questione di dimensioni

Titoli e caratteristiche dei flipback Mondadori... e per quale motivo il loro spot televisivo non ci piace nemmeno un po'.

Nello spot tv
andato recentemente in onda (e che, per quel che mi riguarda, risulta introvabile sul Web) alcune donne, inquadrate in primo piano, parlano di dimensioni: alcune asseriscono che piccolo sia migliore... più maneggevole. Solo dopo uno scambio di salaci battute apprendiamo che stanno parlando di libri.



Si tratta dei Flipback Mondadori, largamente pubblicizzati anche all'ultimo Salone del Libro di Torino, dove i lettori li hanno definiti "pratici", "comodi", "manabili", "pret-à-porter".
L'idea è quella di poter portare i nostri libri preferiti sempre con noi e di poterli leggere e consultare in qualunque momento: sfogliabili con una mano sola (grazie al formato verticale e alla carta leggerissima), i flipback occupano 1/6 dello spazio di un'edizione tradizionale.
Sono, insomma, l'ideale per chi non vuole cedere ai formati digitali e continua ad apprezzare il "sapore" della carta stampata. Non a caso Claudia Consoli li ha definiti (su CriticaLetteraria) «gli smartphone del mercato librario».



Per quel che mi riguarda, ciò che mi perplime è la scelta dei titoli (molto scontati, commerciali, definiti in base alle potenzialità di vendita: dovremo per ora accontentarci di Grisham, Brown, Cornwell... dimenticando le deliziose edizioni flipback di Jane Austen - ad esempio - di John Murray Publishers) e la discutibile e avvilente ironia scollacciata dello spot pubblicitario sopra descritto - che suggerisce l'idea di un'inferiorità culturale delle donne, incapaci di relazionarsi con lo "strumento libro" senza fare ricorso ai più abusati stereotipi di genere. Le donne, dunque, presentate non come fruitrici di cultura, ma come oggetti (sessuali) da utilizzare per vendere meglio e vendere di più. Oche giulive che si entusiasmano per le "dimensioni", mentre è pur sempre di libri che si sta parlando...
Non vorrei apparire come la solita femminista/disfattista, tuttavia credo che campagne pubblicitarie di questo tipo siano non solo discutibili sul piano etico, ma addirittura pericolose - in tempi in cui si verificano ogni giorno efferati femminicidi. Spiace constatare che, nel nostro Paese, neppure le case editrici riescano a rinunciare alla violenza (verbale) di genere.

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