mercoledì 9 luglio 2014

G-attitudine

Ovvero: esercizi di gattoterapia, parte I

Non ho mai sopportato chi mi richiede affetto o attenzioni. Credo infatti che l’amore (a qualunque genere esso appartenga) sia per sua stessa natura un dono spontaneo, che in nessun modo può essere reclamato o preteso. L’amore (verso il coniuge, un’amica, i genitori…) è una declinazione della libertà individuale. Se si trasforma in dovere a causa di imposizioni esterne, perde gran parte della propria attrattiva – e diviene una sorta di fardello, un legaccio che ci soffoca e ci stringe braccia e gambe.
Non date retta ai giornali, alla televisione – che tanto amano le parole ad effetto: non si può essere “schiavi d’amore”, si tratta di un ossimoro impossibile.
«Perché non mi hai chiamato?»
Perché non avevo tempo, forse neppure voglia; ma questo non significa che non ti voglia bene.
«Ci vediamo oggi? Vieni a trovarmi?»
Non posso, ho altri impegni.
«Va bene, fai come vuoi.» (Con rabbia e delusione mescolate nel tono di voce.)
Certo, farò come desidero: nelle prossime settimane, con ogni probabilità, mi terrò ben lontana da te.
Eccetera.
Da questo punto di vista, non siamo tutti uguali.
Vi sono donne e uomini che adorano essere richiesti e che ogni giorno aspettano che il telefono squilli, disposti  a mettere da parte se stessi pur di compiacere qualcun altro. Sono punti di vista rispettabilissimi. Io – per quel che mi riguarda – ho sempre diffidato dell’etica del sacrificio: troppo intrisa di misoginia e di cattolicesimo, per i miei gusti.
Al grande fuoco delle passioni ingorde preferisco l’equilibrio; alla volontà di possesso, la libertà di partire, per poi ritornare.
C’è qualcosa di felino, in tutto questo – me ne rendo conto.
I gatti sono creature dell’assenza ed eccellono nell’arte delicatissima di farsi attendere. Chi non è mai stato in ansia per il ritorno del proprio gatto? Chi non ha mai sbirciato sui tetti circostanti… chi non ha mai lasciato la finestra semiaperta, per consentire al vagabondo di rientrare, anche a notte fonda?
Eppure l’amore di un gatto è tangibile, innegabile; ed è un amore stimolante, che non si dà mai per scontato. Con i gatti, non vi sono mai obblighi, né orari, né “proprietari”.
In verità, non tutti gli esseri umani sono in grado di apprezzare la raffinatezza di questo genere d’affetto; anzi, molti di noi si sentono infastiditi dal temperamento incostante dei felini. Li etichettano come “egoisti” e finiscono col preferire il più malleabile cane.
Non dobbiamo meravigliarcene: l’uomo tende a prediligere la strada più semplice e battuta – e di rado è in grado di trarre spunti e insegnamenti da chi gli vive accanto. Gli animali, poi, sono considerati oggetti da possedere, utilizzare, dominare – non fonte di ispirazione per la nostra condotta di vita.
E’ un peccato, perché essi hanno molto da insegnarci.
Dal gatto, in particolare, dovremmo imparare l’arte della solitudine, quella che definirei “autosufficienza emotiva”: non abbiamo realmente bisogno degli altri per stare bene; né potremo mai godere appieno della compagnia altrui se ci troviamo a disagio con noi stessi – se non sappiamo come impiegare il tempo durante un pomeriggio solitario, o addirittura ci risulta insopportabile la casa vuota e silenziosa.
Fateci caso: avete mai visto un gatto annoiarsi? No di certo. Perfino quando dormono, i felini sono acrobati meravigliosi, piccoli capolavori da ammirare. Non hanno bisogno di un “padrone” che organizzi le loro giornate e non sentono la necessità di vivere e agire con qualcuno.
Tuttavia questo desiderio di libertà, non impedisce ai gatti di ricercare la compagnia dei propri simili o degli esseri umani. Quando un gatto viene a trovarci, quando decide di acciambellarsi sulle nostre ginocchia o si mette a curiosare ciò che stiamo facendo, possiamo essere certi che questo accada non perché ci ritiene superiori e insostituibili, ma perché in quel momento desidera realmente la nostra compagnia e ci considera interlocutori interessanti.
Attenzioni di questo tipo non sono forse appaganti per chi le riceve? E noi esseri umani (sempre così incerti –  eternamente scissi tra la brama di possesso e l’anelito alla libertà) non dovremmo imparare da questi maestri “zen” meravigliosi a bastare a noi stessi; ad amarci senza riserve; a creare legami che siano occasioni di crescita anziché dorate e profumatissime prigioni dello spirito?

Suggerimenti di lettura: I. Sibaldi, L. De Tomasi, S. Daniele, Gattoterapia - Gli esercizi, Salani Editore.

Immagine tratta dalla copertina del libro Gattoterapia - Gli esercizi, edito da Salani

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