Ed è proprio la luce del nostro lampadario nuovo nuovo a riversarsi sul cortile dalle finestre (a cui mancano ancora le tende... E pensare che il mondo l'hanno creato in soli sette giorni!). Fuori, in strada, è tutto buio perché è saltata la corrente.
Disastri dappertutto. Contatto gli amici vicini e lontani tramite Facebook e le notizie che arrivano sono sconfortanti: Francesca mi dice che in Lombardia la situazione è davvero critica; in Valsesia ci sono piccole frane e smottamenti; e il grande Po si è fatto minaccioso in Emilia...
Anche qui da noi, in paese, è esondata la Marcova. Nel primo pomeriggio, Cristiano e io ci siamo muniti di impermeabili e abbiamo fatto un giro di ricognizione. La campagna è fradicia, desolata. Sull'orizzonte grava un cielo zuppo di pioggia.
Ogni volta che si parla di alluvioni mi torna in mente l'autunno del 2000, quando anche Casale Monferrato fu colpita dalla piena e tutti fummo costretti ad abbandonare le nostre case, portando con noi pochi effetti personali, gli animali domestici e un nodo stretto in fondo alla gola.
Si è sempre mormorato che l'argine del fiume sia stato fatto saltare per evitare al centro cittadino di essere sommerso dalle acque che erano già esondate all'altezza del Circolo Canottieri; che si abbia preferito, insomma, sacrificare i quartieri popolari (Oltreponte, Nuova Casale...) per salvaguardare il centro storico... All'epoca, ricordo, ci fu una grande bagarre in proposito e il C.AL.CA (Comitato Alluvionati del Casalese) si batté con coraggio per accertare la verità e prevenire futuri disastri nel territorio.
In ogni caso, ciò che è rimasto ben impresso nella mia memoria è il senso di smarrimento e di confusione provato in quella grigia mattina d'ottobre. Per tutta la notte i bus navetta erano andati avanti e indietro sul ponte ormai chiuso al traffico, trasportando gli sfollati della frazione di Casale Popolo. Mia madre li osservava dalla finestra, mentre io me ne stavo distesa sul divano, in preda a un inopportuno mal di stomaco. «Vedrai che domani tocca a noi», mi diceva.
E infatti, il mattino successivo, le auto dei vigili urbani iniziarono a transitare a passo d'uomo lungo le vie del quartiere, invitando tutti ad abbandonare le abitazioni. Mio padre, da principio, non voleva saperne: «No, no, io resto qui: faccio la guardia alla casa!». Ma era troppo rischioso... e, inoltre, bisognava decidersi in fretta. Dimentico il mio mal di stomaco, mi infilo una tuta di pile e un giubbotto imbottito e vado a chiamare mio nonno, che abita nel palazzo di fronte al nostro. Papà si reca invece da mia nonna e dal suo "moroso", che vivono in fondo alla via. Li convinciamo a lasciare casa. La nonna, che ha più di ottant'anni e cammina col bastone, verrà portata via dall'ambulanza. Mia madre raccomanda all'autista di scaricarla al termine del ponte, dove anche noi arriveremo con la navetta, in modo da poterci riunire tutti non appena possibile; ma l'autista sbaglia e la nonna finirà in uno dei centri di accoglienza e di primo soccorso predisposti nelle scuole. Impiegherò tutta la mattinata per ritrovarla... Tuttavia la nonna (vedova, ex profuga di Pola, sopravvissuta ai bombardamenti) non è donna da farsi scoraggiare per così poco. «Ma dove eravate finiti, si può sapere?» m'investe, non appena mi vede entrare nel camerone dove l'hanno sistemata, alla scuola media Trevigi.
Dobbiamo fare tutto in fretta, le navette stanno partendo! Così, il nonno s'infila la giacca sopra al pigiama, mamma dimentica a casa i soldi, io me ne vado in tuta. Papà (che «deve sempre fare di testa sua» commenta la mamma) è andato a controllare la situazione e non torna più. Siamo in trepida attesa. Ci affacciamo al balcone e vediamo la gente correre per strada.
«Ma che succede?»
«Arriva l'acqua! Arriva l'acqua!»
Oh, cielo, arriva l'acqua...! E papà? Dov'è papà?
In realtà, si tratta di un falso allarme. L'acqua non sta arrivando, l'argine (lo apprenderemo in seguito) verrà fatto saltare solo diverse ore più tardi.
Intanto papà ritorna e finalmente possiamo avviarci anche a noi al centro di raccolta, da cui partono i pullman. Come ho già detto, non abbiamo portato nulla con noi, eccetto gli animali: Mickey (il "piccolo cagnolino rosso") e Atena, una gattona terribile (nomen omen!), sette chili di indomita intemperanza. Non smette di piovere e la gabbietta della povera Atena continua a imbarcare acqua. Siamo tutti agitati. Mickey, che è sempre stato un cagnetto buono e obbediente, riesce perfino a sfilarsi la pettorina nel tragitto che percorriamo a piedi. Devo fermarmi per rimettergliela. Qualcuno si ferma per aiutarmi. C'è grande solidarietà, fra noi sfollati. Poche parole, molti sorrisi, gesti concreti che ti scaldano il cuore.
Ben diversa è l'atmosfera che si respira in città, quando le navette ci scaricano dopo il ponte. Siamo spaventati, mal vestiti e male equipaggiati. I passanti ci guardano straniti e infastiditi. Sembrano non rendersi conto che Casale è stata alluvionata.
Alcuni dei nostri parenti (lo zio Gianni e tutta la sua famiglia, il cugino Sergio...) sono stati colpiti come noi dall'esondazione e riusciremo ad avere loro notizie solo il giorno successivo. Altri (che abitano in centro e potrebbero darci aiuto) si guardando ben bene dal farsi vivi. Ad accoglierci sono piuttosto gli amici di sempre: Graziano, Gigi, Giuseppe... Gigi ci viene incontro e ci ospita nelle prime ore dopo l'evacuazione. Ci aiuta a cercare la nonna, permette ad Atena (infuriatissima) di rifugiarsi sotto il mobile del suo soggiorno e ci offre colazione e pranzo. Graziano, addirittura, mette a nostra completa disposizione un appartamento; e Giuseppe si offre di ospitare la nonna e Renzo. Se non sono amici questi...
Casale Monferrato, quartiere di Oltreponte, autunno del 2000: case alluvionate. Foto di © Enzo Gnasso |
Casale Monferrato, quartiere di Oltreponte, autunno del 2000: un bambino mostra il livello raggiunto dall'acqua. Foto di © Enzo Gnasso |
Ogni giorno interrogavamo Graziano (che lavora in Comune) per sapere quando avrebbero riaperto il ponte, ma nessuno sembrava averne un'idea precisa. Finché un pomeriggio di quella interminabile settimana non rimasi da sola in compagnia di nonna e di Renzo. Mio nonno era stato accolto dal parroco di Crea, don Carlo; mia madre era andata a farsi scrivere dal nostro medico curante (sfollato anche lui!) le pastiglie per la pressione della nonna; mio padre era andato (mi pare) ad aiutare Graziano nel soccorso agli altri alluvionati. Noi tre ci stavamo annoiando davanti alla televisione e così decidemmo di uscire per una passeggiata: la pioggia era cessata e splendeva un tiepido sole autunnale.
Chiacchierando, camminavamo adagio: Renzo e io regolavamo il passo su quello della nonna che, impavida, avanzava col suo bastone, raccontando qualche aneddoto di gioventù. Senza quasi rendercene conto, ci dirigemmo dal centro verso la periferia, all'imbocco del ponte. Una volta arrivati, ci accorgemmo che la strada era stata da poco aperta e che, a piedi, era possibile accedere al quartiere. Una lunga fila di sfollati ci aveva già preceduti e stava avanzando sul marciapiedi, diretta verso quello che abbiamo sempre chiamato "lo stradone".
«Guarda, nonna, hanno riaperto la strada! Che facciamo?»
Non c'era neanche da domandarlo, la mia intrepida nonna si è subito messa in testa al nostro gruppetto, dicendo: «Andiamo, andiamo! Devo controllare la mia casa, io!».
E' stato uno dei pomeriggi più belli di cui conservo memoria. La lunga camminata coi miei vecchietti lungo le strade disastrate; l'angoscia nell'osservare tanta distruzione; la gioia nello scoprire che le nostre case erano intatte e salve; il sole sull'acqua grigia del grande fiume...
Tornammo a casa intorno all'ora di cena (eravamo tutti ospiti di Graziano e Pia, che ogni sera allestivano una bella tavolata in veranda), con la sensazione di aver compiuto una grande impresa. «Sapete dove siamo stati noi, oggi? A Oltreponte!»
Sorpresa: anche papà ci era stato, a nostra insaputa. All'epoca avevamo un solo cellulare in famiglia e non era possibile aggiornarsi a vicenda in tempo reale su quanto accaduto. Meglio così. Ricordo che provammo un piacere particolare, quella sera, nello scambiarci pensieri e sensazioni su ciò che avevamo visto nel pomeriggio.
L'alluvione del 2000 ci ha segnato profondamente. La devastazione a cui abbiamo dovuto far fronte nei giorni a seguire; il disagio del freddo; il duro lavoro necessario a ripulire e riorganizzare il quartiere; la disperazione di chi perse tutto, in quell'autunno maledetto; le proteste delle settimane a venire; il corteo e le minacce dei poliziotti; le assemblee generali organizzate dal C.AL.CA nella chiesa dell'Assunzione... Ci è rimasto tutto nel cuore. Purtroppo, i nonni non sono più con noi e io non abito più a Casale; ma, con mamma, continuiamo a tenerci aggiornate, ogni volta che le piogge si fanno insistenti, così come in questi giorni. La chiamo e le dico: «Come va?» e il pensiero va subito a quelle giornate frenetiche, a quanti, in questo momento, stanno passando ciò che noi abbiamo già vissuto quattordici anni fa.
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