lunedì 7 dicembre 2009

Sunset limited

Da tempo ormai Cormac McCarthy ci ha abituati alla sua “poesia del dualismo”, a quell’opposizione sapiente dei contrasti, della luce e dell’ombra, che genera meraviglia e orrore, nell’ambito di un sapiente affresco del genere umano.
Così era ne Il buio fuori, favola apocalittica avente come protagonisti due fratelli incestuosi; così ne La strada, dove un padre e un figlio cercano di sopravvivere al freddo e alla cenere di un mondo devastato, per citarne solo alcuni fra i già recensiti.
Con Sunset Limited McCarthy torna al problema del Male e della redenzione, mettendo in scena, questa volta, un dialogo (tutta la narrazione è in forma drammatica) fra un Bianco e un Nero.
La tragedia a cui entrambi sono sopravvissuti è il suicidio del Bianco (“il Professore”), salvato dal Nero mentre era in procinto di gettarsi sotto il treno Sunset Limited.
Dopo il salvataggio, il Nero (personaggio semplice, dotato di una grande fede religiosa) trattiene il Bianco in casa sua, iniziando con lui un dibattito sui temi della fede e della vita oltre la morte.

BIANCO – Più che altro, credo nel valore delle cose.
NERO – Nel valore delle cose.
BIANCO – Sì.
NERO – Ok. Di quali cose?
BIANCO – Di un sacco di cose. Le cose culturali, per esempio. I libri, la musica, l’arte. Cose di questo genere.
NERO – Va bene.
BIANCO – Queste sono le cose che per me hanno valore. Sono la base della civiltà. O quantomeno, un tempo avevano valore. Probabilmente oggi non ne hanno più così tanto.
NERO – E cosa gli è successo, a quelle cose?
BIANCO – La gente ha smesso di dar loro valore. Entro un certo limite. Non saprei neanche spiegarle bene perché. Quel mondo è in gran parte scomparso. E fra poco lo sarà del tutto.
NERO – Non so se riesco a seguirti, professore.
BIANCO – Non c’è niente da seguire. Va bene così. Le cose che amavo un tempo erano molto fragili. Molto delicate. Ma io non lo sapevo. Pensavo che fossero indistruttibili. E mi sbagliavo.
NERO – Ed è questo che ti ha spinto a buttarti giù dal binario. Non una questione personale.
BIANCO – Ma è una questione personale. E’ proprio questo l’effetto dell’istruzione. Rende il mondo intero qualcosa di personale. [1]

La cultura del Bianco (ritratto dell’intellettuale moderno) rende impossibile non sono la fede, ma anche la permanenza stessa nel mondo e nella vita.
Oltre il velo, non può esserci posto che per la morte – e forse quel velo non è mai statneppure sollevato.
Invano, durante la prima parte del dibattito ci illudiamo che il Nero (ignorante, grosso e solare) riesca a convincere il Bianco, a riportarlo sulla “retta via” e verso un happy end in perfetto stile americano.
Sarà invece il Nero, alla fine, a ridursi in ginocchio, piangente, di fronte – ancora una volta – all’evidenza dell’orrore, del buio:

BIANCO – La rabbia, di fatto, la provo solo nei giorni migliori. Ma in verità non me n’è rimasta molta. In verità le forme che vedo si sono andate pian piano svuotando. Non hanno più nessun contenuto. Sono soltanto figure. Un treno, un muro, un mondo. O un uomo. Una cosa che penzola con le sue espressioni insensate in mezzo a un vuoto ululante. Senza che ci sia alcun significato nella sua vita. Nelle sue parole. Perché dovrei cercare la compagnia di qualcosa del genere. Perché?
[...]
Il Nero sfila le catene, che cadono a terra tintinnando. Apre la porta e il professore esce. Il nero resta sulla soglia a guardare il pianerottolo.
NERO – Professore? Lo so che non dici sul serio. Professore? Guarda che io sono di nuovo lì domani mattina. Mi trovi lì. Hai capito? Mi trovi di nuovo lì domani mattina.
Si accascia a terra in ginocchio sulla soglia, è sul punto di piangere. [2]

Lo strale lanciato dal Bianco sul finale è senza dubbio suggestivo e ribalta in modo inaspettato la situazione:

BIANCO – Io non ci credo in Dio. Lo capisce, questo? Si guardi intorno, amico mio. Non lo vede? Il frastuono e le grida della gente che soffre saranno musica per le orecchie di Dio. E io rifuggo queste discussioni. [...] La comunanza di cui lei parla è basata solo e soltanto sul dolore. E se quel dolore fosse veramente collettivo invece che soltanto ripetitivo, il suo peso basterebbe a staccare il mondo dalle pareti dell’universo e a farlo precipitare in fiamme in mezzo a quel po’ di notte che saprebbe ancora generare prima di ridursi a un nulla che non è neppure cenere. [...] [3]

Tuttavia questa ultima opera di McCarthy non convince del tutto. Sarà per l’eccesiva schematizzazione dei personaggi (soprattutto del Nero); sarà per la brevità del dialogo, che lascia nel lettore, alla resa dei conti, un vago sapore di pretenziosità.
Quel che è certo è che mancano le sfumature a tinte fosche e forti del miglior McCarthy, capaci di far rilucere perfino il nero e il buio, rendendoli indimenticabili. Al loro posto, il disfattismo loquace del Professore che destabilizza, certo, ma non affascina.

Cormac McCarthy
Sunset Limited
Edizioni Einaudi
Torino 2008


Note
[1] Cormac McCarthy, Sunset Limited, 2006 (trad. it. Sunset Limited, Einaudi, Torino 2008, pp. 21 – 22).
[2] Ivi, p. 116.
[3] Ivi, p. 114.

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