La storia è quella di Saru, medico affermato a Bombay, che la notte viene stuprata dal marito Manu, letterato fallito.
Un “rito” angoscioso, affermazione di un potere maschile effimero, a cui Saru non riesce ribellarsi e del quale neppure riesce a parlare, poiché lo considera una sorta di punizione per tutte le sue colpe: l’abbandono della casa dei genitori (e della madre, soprattutto) per frequentare l’università; la sua brillante carriera lavorativa, che ha minato la dignità virile di suo marito; e, non ultima, la morte del suo fratellino Dhruva.
Per sfuggire al dolore delle sue notti, Saru infine decide di fuggire, tornando alla modesta casa del padre: la madre è ormai morta e la giovane donna si illude di riuscire così a dimenticare la propria sofferenza.
Il percorso verso una nuova consapevolezza di sé, però, non sarà privo di difficoltà.
Con una scrittura semplice e tuttavia sapiente, precisa, oscillante di continuo fra la terza e la prima persona singolare del narratore, la Deshpande riesce a tratteggiare con rara efficacia la psicologia delle due protagoniste femminili (Saru e sua madre), andando a toccarne i nodi cruciali: la durezza di cui anche le donne sanno essere capaci e il modo in cui essa va ad influire nei rapporti umani, devastandoli, annichilendoli; il senso di colpa maturato da una figlia dinanzi alle accuse dei genitori, che le provocherà un’infelicità profonda e quasi inestirpabile; la difficoltà ad emanciparsi dalle tradizioni del proprio paese e della propria condizione sociale.
A volte le sorgeva il dubbio di essere una madre fredda e snaturata. Eppure aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai lesinato amore e comprensione ai figli come aveva fatto sua madre. Che per i suoi figli sarebbe stata tutto quello che sua madre non era stata per lei. Ma i figli avevano cominciato subito a deluderla. Durante i lunghi mesi della gravidanza si era tenuta su al pensiero del miracolo che l’aspettava, il miracolo della maternità. Ma quando attraverso una nebbia di dolore e sgomento, dopo una giornata passata a battagliare, aveva sentito la testa di Renu che spingeva per uscire, la situazione umiliante l’aveva indignata. La posizione, i grugniti, le grida, il dolore l’avevano trasformata in un animale: era davvero questo il preludio della maternità? [1]
Una forte voce femminile, quella della Deshpande, che non indulge in compassione nemmeno nei confronti della stessa protagonista, Saru, e che tuttavia saprà condurla e condurci verso un finale liberatorio.
Note
[1 ] S. Deshpande, The Dark Holds No Terrors, 2009 (trad. it. Il buio non nasconde paure, Edizioni e/o, Roma 2009, p. 200).
Shashi Deshpande
Il buio non nasconde paure
Edizioni e/o
Roma 2009
Nessun commento:
Posta un commento